Title: White death
Year: 2022
Organico: quartetto di percussioni
Prima esecuzione: Amici della musica, Foligno 28 Agosto 2022 – Tetraktis percussioni
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Tra Tekoşer (scritto nel 2019) e White death corre uno smottamento, una coupure épistémologique, per dirla con uno dei penultimi dinosauri del logocéne: due anni di pandemia, il ritorno in grande stile della guerra imperialista in stile classico, con l’invasione dell’Ucraina, e, in contrappunto rivoltabile, tutto un profluvio di ulteriori note a piè di pagine in quell’immenso stupidario che è la Storia umana.
La morte bianca; i morti sul lavoro; la morte immotivata, quella che sconquassa la ratio, e omaggia l’assurdo: consacra la stupiderìa e inneggia alla duperie. Come le vite che potentati, dittatorelli, patrioti in cronicizzata disfunzione erettile, immolano a Priapo, dio dell’indivia penàle: li vedi indaffarati mentre pigolano intorno alle cannonerìe di Stato, l’Ego bulimico che trasborda sui followers in costante ascesa.
Mentre aumenta (una voce dopo l’altra, glossario dopo glossario) il catalogo dell’insensato, risuona (come un monito) il verso che Fortini rapinò ad un antico proverbio finlandese: “questa giustizia lenta che ci accompagna”.
Title: Antagonie
Year: 2022
Organico: Cb. e pf.
Prima esecuzione: Esecuzione parziale, 12 Febbraio 2022, Stagione I concerti di Hydra, Cb. Daniele Roccato, pf. Lucrezia Proietti
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Antagonie è il frutto di un’amicizia, tra il compositore, Daniele Roccato e Lucrezia Proietti. A loro è dedicato. Non in calce ma nota per nota.
Come tutti i figli nani della moda decostruzionista, il titolo è triplamente allusivo.
Allusioni presenti nel titolo in ordine di apparizione:
1) Antagonie allude agli Antagonismi; sbiadita gioventù di militanza politica; 2001: G8 di Genova con gli Antagonisti delle Tute bianche (o Disobbedienti): fine della militanza nella sinistra extraparlamentare; naufragium feci bene navigavi.
2) Antagonie allude alle Agonie: dolore per le cose (per le vite) che si spengono come nidiate di neuroni su facebook.
3) A chiusura dei primi due punti seriosissimi, Antagonie allude alla celebre locuzione “Antani, con la supercazzola prematurata e lo scappellamento a destra” del Conte Mascetti: come se i punti 1.2. non fossero che una grande supercazzola (in questo caso con scappellamento a sinistra).
La supercazzola musicale si snocciolerà attraverso 5 movimentini: nell’esecuzione del 27 Febbraio saranno eseguiti solo i primi due, per questioni legate alla lentezza operativa del compositore.
Il primo movimentino, s’intitola Storia intensiva dell’oblio: tutta la Storia è storia di dimenticanze; la storia non è magistra di una beata minchia, soprattutto per il bipede umano.
“Intensiva” perché dal 2020 in poi al di là della pandemia, ad un occhio indiscreto potrebbe sembrare che l’Occidente tutto (pericolosamente coincidente con il mondo intiero) sia in terapia intensiva.
Il secondo movimentino si fregia del titolo Tassi al rialzo strafatti di metredina (il correttore semiautomatico scrive “merendina”, e potrebbe anche avere anche una sua, ricreativa, ragione).
Con le pendulità coglionari devastate quotidie dai Tassi che diventano deboli, le borse che si alzano nervose, il movimentino intende omaggiare l’economia virtuale, avanzando l’ipotesi (non peregrina) che, celate dietro tale doviziosa zaganella, possano annidarsi masse di manager tossici, strafatti delle migliori bambe terracquee (da cui gli ampiamente decantati “titoli tossici”).
Nel finale del movimentino, un’allusione cinquecentesca, vagamente monteverdiana, ospiterà in partitura la citazione di una Rima del Tasso (in questo caso Torquato: forse anch’esso tossico, a giudicare dalla condotta ferrarese).
Il terzo pezzo movimentino s’intitolerà Autonomist working bass: da “walking bass” (perché il pezzo è una passacaglietta) che diviene “working bass” per mescolamento con working class.
Il quarto movimentino sarà titolato Bhajan (canto devozionale induista): omaggio a Daniele, e al suo interesse per la musica di tradizione orale indiana.
Il quinto movimentino vorrebbe rifondare la tradizione dell’Inno, inteso come Inno Nazionale, aggiornato alle nuovissime dimensioni etico-sociali delle società contemporanee. Si tratterà di un Inno Internazionale delle Idiocrazie contemporanee, utilizzabile da qualsiasi nazione idiocratica e libero da diritti d’autore (costruito sulla tecnica retorica del leccaculismo assoluto – “assoluto” nel senso hegeliano del termine – fondato sulla costruzione del consenso, la capitalizzazione dei likes, la funzionalità comunicativa, la socialità ridente come pura formalità).
Title: Memoriale
Year: 2019
Organico: sestetto d’archi
Prima esecuzione: Acireale, Villa Pennisi in Musica, 11.8.2019 – Sestetto Stradivari
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Conosco David Romano da almeno 10 anni, ma il nostro rapporto ha subito una svolta improvvisa, quando due o tre anni fa, dopo una memorabile interpretazione di un mio pezzo, diretto da Antonio Pappano e suonato dall’orchestra di Santa Cecilia, in tripudio estatico, lo abbracciai e lo baciai minuziosamente di fronte au un pubblico festante, ignorando totalmente la spalla dei primi.
L’invito a partecipare a Villa Pennisi in Musica è per me un onore, e un occasione per consolidare questo nostro rapporto corporale-musicale.
L’atmosfera e il metodo di lavoro che regnano in questa oasi, dovrebbe (in un paese civile) fare scuola: in nessuna associazione musicale-concertistica il compositore e gli esecutori hanno l’opportunità di lavorare fianco a fianco per una settimana continuativa.
Questo significa restaurare, rifondare quel cantiere comune che per secoli ha unito chi scriveva la musica e chi la eseguiva (spesso coincidendo le due figure) in uno scambio continuo: messa a fuoco della scrittura strumentale, ideazione di nuove tecniche, concepire collettivamente, coralmente un manufatto d’arte.
Ma a questa già di per sé straordinaria esperienza musicale, si unisce il laboratorio di architettura, in cui ogni anno giovani architetti progettano e costruiscono lo spazio di risonanza dove saranno eseguiti i concerti: il luogo, il topos, diventa strumento, suono, phoné. Compositore, esecutore, spazio di risonanza, sotto le arcate che cingono il giardino di villa Pennisi, si uniscono in un corpo unico, organico.
Il lavoro a cui stiamo lavorando con il Sestetto Stradivari, Memoriale (commissionato dallo e dedicato allo stesso ensemble: non capita tutti i giorni di poter ascoltare la propria musica eseguita da musicisti di tale bravura) si ispira a un grandioso romanzo di Paolo Volponi – Memoriale appunto – che, attraverso le vicende dell’operaio Albino Saluggia, denuncia il brutale processo di spersonalizzazione su cui si fondano le dinamiche sociali degli ambienti lavorativi. Spersonalizzazione tanto più radicale in quanto agisce “inconsciamente”, ad insaputa del soggetto, che viene fagocitato dalla propria funzione sociale: agito da essa, parlato da essa.
La musica di Memoriale attraversa il dolore degli umiliati e dei perseguitati, il coraggio di coloro che resistono e combattono, lo sgomento di fronte ad un trentennio (quello che inizia con gli anni ’80) che ha visto le masse europee trasformarsi progressivamente in un esercito di professionisti nell’arte leccaculonica; gregari, cortigiani, delatori, dediti al proprio fatturato psichico come ad una sfinge metafisica: individui senza voce, facce anonime plasmate da un unico, totalitario imperativo categorico “farsi, sempre, rigorosamente, categoricamente solo ed esclusivamente i cazzi propri”.
“Per strada tante facce / Non hanno un bel colore / Qui chi non terrorizza / Si ammala di terrore.”
Title: Tekoşer In memoriam Lorenzo Orsetti
Year: 2019
Organico: quartetto di percussioni
Prima esecuzione: Mantova, Trame Sonore, Mantova Chamber Music Festival, 1.6.2019 – Tetraktis Percussioni
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Se pensiamo alla trasformazione dell’identità delle popolazioni europee dalla metà degli anni ’80 in poi, possiamo notare come progressivamente, dopo l’impegno concreto, dopo le lotte degli anni ’60 e ’70, si sia cristallizzato un nuovo codice etico che, più o meno occultamente, ruota intorno ad un asse, un vero e proprio imperativo categorico: “fatti, sempre, rigorosamente, categoricamente solo ed esclusivamente i cazzi tuoi”. Tale imperativo, pervasivamente, ha trasformato, in tempi abbastanza rapidi, le masse europee in un esercito di professionisti nell’arte leccaculonica, gregari, cortigiani, dediti al proprio fatturato psichico come ad una sfinge metafisica e in perenne competizione agonica con tutti gli altri enti (animali, pterodattili, oggettistica per attività venatorie etc.).
Dalla Bibbia dell’internetauta, Wikipedia (in inglese): “Lorenzo Orsetti (1986 – 2019), noto anche come Orso e Tekoşer Piling, era un anarchico-comunista e antifascista italiano di Firenze che combatteva con le unità di protezione del popolo curdo in Siria. E’ caduto in battaglia nel territorio di Al-Baghuz Fawqani“.
La figura eroica di Lorenzo Orsetti, fa sospettare che il gregarismo di massa europeo non sia un monolite, e l’imperativo categorico del cortigiano globale non sia impermeabile. Tekoşer Lorenzo è il nome di un’epifania: dietro alle sagome sghembe dei cortigiani che affollano le borse, i pianerottoli degli uffici, le agenzie di promozione turistica, le pizzerie per nani d’asporto, baluginano i volti dei nonni, dei bisnonni che qualche decennio prima presero le armi e si immolarono nella Resistenza europea contro lo stupidario fascista e nazista.
Title: Esercizi di sovversione
Year: 2018
Organico: Vln. solo
Prima esecuzione: 5- 14 Aprile 2018, Genova, 55° Concorso internazionale di Violino Premio Paganini. Esecutori: Finalisti del Premio Paganini
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Scrivere un pezzo per Violino solo è già di per sé una grande responsabilità; scriverlo per il Concorso Paganini di Genova rasenta l’acrobazia, il triplo salto mortale, un tuffo doppio carpiato con avvitamento.
Pensare a giovani virtuosi che rinserrati nelle loro stanze, setacciano in lungo e in largo un repertorio che va da Bach a Bartòk passando per Paganini, Wienawski, Brahms, Ligeti etc. etc., e per finire si cimentano su un oscuro pezzo di un oscuro Panfili, fa un certo effetto perturbante.
Si immagina il povero Panfili seduto su un banco mentre scrive sotto l’occhio severo di Bartòk, sotto l’ombra del parruccone tempestoso di Bach, confuso dal fumo di sigaro di Herr Brahms.
In un contesto di simile tensione (gli occhi scrutatori di una tradizione incombente) l’unica possibilità di emancipazione è arrovellarsi in una exit strategy.
Si potrebbe comodamente uscire dalla stanza (all’inglese, di soppiatto) e battere altre vie, quelle del lavoro dentro il puro suono (cadendo dalla padella alla brace, da una tradizione all’altra: una stanza in cui Grisey, Lachenmann, Nono, e altri colossi sostituiscono Bartòk, Brahms, Paganini).
Per chi ama la scomodità, l’altra possibilità è rifiutare la fuga e cimentarsi in una serie di esercizi di sovversione: prendere i gesti di una tradizione strumentale che va da Bach a Ligeti (passando per Paganini, Brahms, Bartok) e rivoltarli come un guanto, obbligarli – con un addestramento serrato – a dire altro, a fare altro.
Tra la fuga nell’alterità, nella costruzione di un’identità altra (un’altra stanza, un’altra tradizione) e la sovversione dell’identità stessa, questi esercizi per Violino optano per la seconda possibilità: quella della sovversione; e fu così che ancora una volta ci toccò sederci dalla parte del torto perché i posti della ragione erano tutti occupati.
Title: L’ospite insonne
Year: 2017
Organico: violoncello e pianoforte
Prima esecuzione: Milano, Serate Musicali, Teatro Dal Verme, 3.3.2017 – vc. Luigi Piovano, pf. Antonio Pappano
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
1. L’ora del lupo
2. La fuga (aus der “Lichtung”)
Introduzione
Per chi ha un ottimo rapporto con il sonno – questa petit mort nelle cui braccia ristoratrici ci abbandoniamo quotidianamente – l’improvviso irrompere di una nottata insonne rappresenta un evento indisponente se non traumatico: come se un ospite insolente piombasse berciando dentro l’intimo silenzio della propria casa.
Come se un ordine, una sacra tradizione, improvvisamente andasse in frantumi: non siamo più padroni in casa nostra, come direbbe il Doktor Freud; come se qualcosa o qualcuno (l’inconscio? un demone?) emergesse dalle profondità della mente e, scacciando Morfeo, imponesse la veglia: gli occhi aperti nel cuor della notte, il ticchettio della sveglia, e il “mondo che dorme ancora”.
E’ “L’ora del lupo”, come recita il titolo di un film di un grande insonne del ‘900, Ingmar Bergman: ed è con “L’ora del lupo” che si apre il pezzo, dedicato ad Antonio Pappano e Luigi Piovano.
Un primo movimento (un’Elegia) che risuona nel silenzio di una notte stellata come un canto di solitudine e stupore.
Nel secondo movimento (“La fuga”) la minaccia viene dall’esterno: siamo noi stessi gli “ospiti”, ma stavolta nel senso latino di “straniero”, “viandante”, “peregrinus”.
La corsa affannata, violenta, incessante di un essere braccato che scappa dalla radura, dalla tana, dall’intimo silenzio della propria casa: “perdere paesi, essere altro costantemente”.
Title: Les mots de la tribu
Year: 2016
Organico: pianoforte
Prima esecuzione: Roma, Fast Forward Festival, Teatro di Villa Torlonia, 1.6.2016 – pf. Francesco Prode. Nuova versione, 26.12. 2021, Teatro Mariinsky per il Mariinsky Intenational piano Festival, pf. Alessandro Delijavan
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Un gioco di specchi con i Miroirs di Ravel; porsi di fronte ad Alborada del gracioso come ad una superfice riflettente, opaca, scintillante, enigmatica; scrivere di riflesso; detto in termini da romanzo di appendice per fanciulle in fiore: scrivere un pezzo per pianoforte “ispirandosi ad uno dei Miroirs di Ravel”: questa è stata la richiesta di Francesco Prode, per il suo (visionario) progetto sugli specchi.
Sono andato alle origini di quel periodo effervescente che è stato l’ultimo ottocento e il primo novecento francese, al maître à penser (mitologico) che ha ispirato un’intera generazione di artisti: Stephane Mallarmé, il grande ostico.
Mi ha sempre inquietato un verso del sonetto Le Tombeau d’Edgar Poe: “Donner un sens plus pur aux mots de a tribu” (“donare un senso più puro alle parole della tribù”).
Un verso che non riesco a pensare se non scisso, troncato in due: da una parte “il senso più puro”, dall’altra (parte della barricata) “le parole della tribù”.
Ne è venuto fuori (musicalmente) un dittico in miniatura: la prima parte (“donare un senso più puro”) come un puro gioco di cristalli, minuzia calligrafica, mitologia della purezza; nella seconda parte l’irruzione del corpo della tribù, con tutto il sudore, la pelle erosa dalla polvere, in una danza progressivamente più violenta e aggressiva: “beati gli impuri di spirito…”.
Title: Lo smalto sul nulla
Year: 2015
Organico: quartetto d’archi
Prima esecuzione: Bologna, Accademia Filarmonica, 10.12.2015 – Quartetto Prometeo
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber
Ad ottobre dello scorso anno, mi contattò il prof. Loris Azzaroni, presidente dell’Accademia Filarmonica di Bologna, commissionandomi un quartetto per archi in vista di un concerto dedicato alla rievocazione dei 100 anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale.
Ci ritrovammo così a discorrere di memoria storica, di oblio, dimenticanze, celebrazioni in pompa magna, progressismo, conservatorismo, naufragio della sinistra europea, historia magistra stultorum.
Nei mesi successivi, progettando la struttura generale del pezzo, mi ritrovai in un loop in cui parole quali “storia”, “progresso”, “conservazione” etc. vorticavano alla deriva come in un viaggio psichedelico.
Che la historia non sia magistra vitae, è acclarato dalla Storia stessa: rievocazioni, commemorazioni, disquisizioni sul futuro dell’Europa unita, preoccupazioni per la pacificazione del medioriente, hanno tutte il suono vacuo e acidulo del solito, trito “strepitio del pentolame storico”.
La fabula historica non fa altro che tessere tutto un ordito di vuote rappresentazioni: come la Nottola di Minerva che si leva al calar del sole, quando tutto è già accaduto, la Storia sorge su una vasta distesa di macerie. Nasce dai fatti, quando gli atti sono già avvenuti. Si instaura dopo l’Evento. Ed è attraverso le tavole della Storia che l’uomo cerca – con la disperazione protocollare di un piccolo burocrate spaesato – di dare un senso, un verso, all’immanenza caotica degli eventi; di costringere in un universo da schedario d’ufficio, il multiverso della vita. “Avanguardia”, “conservazione”, “futuro della musica”, “ricerca in avanti”, “difendere la tradizione”: tutto un lessico da kermesse di orologiai.
Mi fanno pensare ai deliri (lucidissimi) dell’ultimo Lacan: dietro al pulviscolo dei significanti (le chiacchiere, le teorie, i summit economici, le dichiarazioni estetiche) si cela null’altro che una mancanza, un vuoto, un manque à être.
Lo smalto sul nulla.
Title: F for fake
Year: 2014
Organico:per clarinetto e quartetto di percussioni (Perc. I: Cp., Crot., Glock., Tt., M., 3 Ps., Chinoise Tbl., 2 Bg., Conga, Cajon, Flex., Gc. – II: Vibr., Xyl., Tot., 2 Trg. – III: Mr., Darabukka, M., Guiro, Wind chimes – IV: Mr. bassa, Tal., 2 Bg.)
Prima esecuzione: Ferrara, Ferrara Musica, Teatro Comunale, 31.3.2012 – cl. Alessandro Carbonare, Tetraktis Percussioni
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Chamber