Title: Questo Muro
Year: 2021
Organico: orchestra (2.2.2.2. – 2.2.0.0. – 2 Perc.[I: Tp., 2 Bg., Conga, Vibr., Ps. – II: Cp., Glock., Tt., Gc., Trg., Wbl., 2 Bg., 2 Ps.] – A.)
Prima esecuzione: Auditorium Toscanini di Parma, 28 Maggio 2021, Filarmonica Toscanini, dir. Michele Spotti
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Orchestra
Proprio in questi giorni – per alleviare lo spleen dovuto al cambio di stagione (e alle psicosi che mi vanto di ospitare) – stavo rileggendo un piccolo, ma sconvolgente, saggio del giovane Nietzsche, Su Verità e menzogna in senso extramorale, e mentre seguivo le funi tesissime dell’argomentare nietzscheano mi dicevo: “tanto vedrai, le note che scriverai per Questo muro saranno in larga parte citazioni, perché, come diceva nonno, quando si è in difficoltà – come adesso il mondo intero – i tipi più svegli sanno tacere e ascoltare quanto hanno da dire i più intelligenti”.
Il saggio di Nietzsche si apre con un incipit sconvolgente: “In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del cosmo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, l’astro si raggelò e gli animali intelligenti dovettero morire. – Qualcuno potrebbe inventarsi una favola del genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, vano e arbitrario sia l’intelletto umano all’interno della natura”.
Parole profetiche, che sembrano parlare della tracotanza (e dell’ottusità) che ci raccontano gli ultimi 40 anni del Mondo (progressivamente) globalizzato: la crisi ecologica si fa ogni giorno più evidente (ghiacciai che spariscono, alterazione continua degli equilibri geofisici, specie che si estinguono etc.), ma continuiamo con lo sfruttamento intensivo delle risorse terrestri, con il profluvio delle emissioni; la forbice sociale si allarga con velocità vettoriale, ma continuiamo a genufletterci all’andamento delle Borse come davanti a nuovi dei (come se la crisi del 2008 non fosse mai accaduta); cadiamo nel baratro di una pandemia, e se protestiamo non lo facciamo per cambiare un Mondo che non funziona, ma per ritornare al Mondo di ieri.
Qualche settimana fa, un genio anonimo (collettivo?), pescato da uno dei social forum che oggi hanno sostituito i bar, le bettole e le sezioni di partito, commentava: “Negli anni ’60 e ’70 si scendeva in piazza per cambiare integralmente una vita che era sentita come ingiusta e invivibile, e lottare per lasciare ai propri figli una società più equa e più sana. Oggi si scende in piazza per ritornare alla vita di merda che facevamo prima”.
Sono parole che possono essere lette come una sintesi (postuma) del romanzo di Volponi, Le mosche del capitale, a cui mi sono costantemente riferito durante la composizione di Questo muro: ultima opera di Volponi che denuncia la totale sparizione degli ideali, di un orientamento valoriale, dalla vita sociale e politica. E con quest’ultima citazione, posta in esergo alla partitura di Questo muro, credo di aver tratteggiato il fondale su cui si stagliano gli affanni, le violenze, il dolore, le estasi attraverso cui si snoda la musica di questo nuovo pezzo.
“Niente. Non c’è niente da raccontare. Non si racconta più̀. Lo Stato, la Società procede, si ferma, si corregge secondo le crisi che gli sono state assegnate dell’industria.
Il racconto è finito. La narrazione la trovi ai banconi dei supermercati”.
Title: Abitare la battaglia
Year: 2017
Organico: orchestra (3.3.3.3. – 4.3.3.1. – Tp. – 3 Perc. [I: Mr., Xyl., Crot., 2 Ps., 4 Bg., C. chiara, Rain stick, M. –
II: Vibr., Cp., 3 Ps., Tt., 5 Tbl., 5 Tot., Sandblocks – III: Glock., Crot., Cp., G. intonati, 2 Ps., Tt., Gc. Guiro] – Ar. – A.)
Prima esecuzione: Firenze, Opera di Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 31.12.2017 – Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Fabio Luisi. Esecuzione della nuova versione, 11-12 Febbraio 2022, Orchestra Nazionale della Rai di Torino,dir. Fabio Luisi.
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Orchestra
Quando mi fu proposto dal Maggio musicale Fiorentino di lavorare ad un pezzo che introducesse la Nona Sinfonia di Beethoven e confluisse direttamente nel brusio di quinte vuote da cui sorge il capolavoro beethoveniano, fui subito invaso dall’entusiasmo.
A cui seguì, immancabilmente, un senso generalizzato di panico: cosa si deve inventare l’ultimo dei Panfili per introdurre il colosso sinfonico dell’ultimo Beethoven?
Alla fine bisogna pur arrendersi alla catena di montaggio del lavoro e condannarsi a pensare.
Così mentre mi disperavo intorno al nuovo pezzo, mi capitò tra le mani il volume di Baldini, Abitare la battaglia, dedicato a Verdi (e maledettamente incompiuto). E in preda al deliquio e allo spleen serotino, mi resi conto che nella mia mente, per un processo insondabile, il termine “battaglia” aveva sempre accomunato la figura barbuta di Verdi a quella scapigliata di Beethoven.
Battaglia sociale in primo luogo: pensiamo alla vicinanza di Beethoven ai valori della rivoluzione francese, alla dedica della Terza Sinfonia a Napoleone (poi depennata irosamente), all’Inno universalistico della Nona; pensiamo alla tendenza verdiana a dare voce ai marginali, a donare una storia a quelli che dalla Storia sono stati estromessi: puttane (Traviata), trovatelli e madri zingare devastate dal dolore (Trovatore), schiavi ed esuli in terra straniera (Aida, Nabucco), militari psicotici (Otello), buffoni di corte (Rigoletto) etc.
Ma anche “battaglia” ingaggiata con il materiale musicale: la strenua evoluzione stilistica di Verdi e Beethoven ci parla di una lotta feroce per forzare cerniere e confini del proprio linguaggio, un anelito a valicare manierismi e idiomi divenuti abitudine e routine (basta ascoltare di seguito Oberto e Falstaff, la Prima sonata per pianoforte di Beethoven e la Sonata op. 111, per renderci conto dell’abisso scavato dai due giganti).
Mi concentrai immediatamente sul termine “battaglia”, e immaginai una musica che cercasse di incarnare il processo stesso, la postura stessa della battaglia intesa “come esperienza interiore”. Un pezzo di musica inteso come Kampfplatz.
Un’idea bislacca, a pensarci bene; ma, in fin dei conti, non era quel chiromante di Althusser che, solo qualche decennio fa, scriveva: “la cultura non è altro che lotta di classe nella teoria”?
Abitare la battaglia, fino a qualche mese fa, si vantava di essere l’unico pezzo sopravvissuto indenne alle violente campagne di revisione cui sottopongo la paccottiglia musicale prodotta negli anni.
Questa impunità la sentivo ingiusta, tragicamente liberale. Questa verginità mariana covava qualcosa di ancora più preoccupante, in odore di procedimenti vagamente penali: una vera e propria disparità di trattamento giuridico.
L’occasione di una ripresa del pezzo, questo febbraio, dalla OSN di Torino con Fabio Luisi, mi ha offerto il destro per una campagna di epurazione revisionista senza pari: la partitura è stata derattizzata in ogni suo anfratto.
L’obiettivo è sempre lo stesso, e di natura squisitamente sanitaria: dopo aver fallito la prima volta, occorre lavorare duro per fallire meglio.
Link:
https://www.raicultura.it
Title: Oltre la linea
Year: 2016
Organico: per orchestra (4.3.4.3. – 4.4.3.1. – 5 Perc. [I: Mr., 3 Ps., Trg., Tamb., Martello – II: Vibr., Cp., C., Tab., Surdu – III: Xyl., Glock., 4 Bg., Conga, 5 Wbl., 2 M., Rain stick – IV: Crot., Tt., 2 G., 5 Tot., 4 Bg., Trg., M. – V: 3 Ps., Gc., Tt., 4 Bg., 2 Castagnette, Wind chimes] – Tp. – Ar. – A.: 16.14.12.10.8.)
Prima esecuzione: Milano, Teatro alla Scala, 11.4.2016 – Filarmonica della Scala, dir. F. Luisi – nuova versione: Firenze, Opera di Firenze, 27.10.2016 – Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. J. Valčuha
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Orchestra
Mentre scarabocchiavo i primi appunti per il pezzo, avevo una vaga intenzione di rileggere il saggio di Jünger Oltre la linea – sorta di tentativo teorico di superamento del nichilismo – omettendo ovviamente la noiosa replica da cattedratico paffuto di Heidegger. Intanto la mente girellava a vuoto intorno al titolo: quello presente del saggio jüngeriano e quello futuro che avrei dovuto appioppare al nuovo pezzo.
Si può superare la linea del nichilismo, del pensiero debole, la mania della Verità, l’ossessione per la Fede e la genuflessione ovina agli Idoli?
Oltre la linea l’unica cosa certa è il bordo, il margine (il fuori-gioco: lo sanno bene gli arbitri, cornuti per vocazione); la periferia della Verità, gli slums delle fedi.
Intanto la composizione del pezzo procedeva: da un Tema, da un centro saldo come un dogma, un viaggio di 10 Variazioni attraverso i Margini, le periferie, gli interstizi di quel Tema: sempre la solita fascinazione (ossessione?) per la dialettica tra margine e adattamento, tra centro e periferia rizomatica.
Da una parte le monolitiche narrazioni della Storia – muri senza crepe, levigati come idoli posticci; dall’altra i disadorni deserti abitati dai proscritti, quelli che la Storia ha estromesso.
In bilico sul crinale scosceso del Margine, dove anche la mobilitazione totale del lavoro risuona come una ridicola litania. Sottratti alle catene del senso, e alla vita compressa nelle condotte forzate degli “obiettivi di produzione” e nel martellio monotono scandito dal tempo fer(i)ale.
Ci sarebbe da chiedersi, come nel Lorenzaccio beniano:
“Neghi forse la storia del mondo intero?”
“No, non nego la storia, ma io non c’ero.”
Title: L’aurora, probabilmente…
Year: 2014
Organico: per orchestra (4.3.4.3. – 4.4.3.1. – 4 Perc. [I: Mr., 2 Bg., Conga, Roll drum, 2 Tot., 3 Ps., M., Glass chimes, Rain stick, Lastra piccola, Dobaci – II: Vibr., Crot., 4 Tot., Gc., Cassa chiara, Guiro, Castagnette – III: Xyl., Glock., Cp., 2 Bg., Tal., 2 Ps., 2 Trg., 2 M. – IV: Tt., Thai G., 3 Ps., 5 Wbl., Crot., Tab., 2 Surdu, 3 Ps., Gc.] – Tp. – Ar. – A.: 16.14.12.10.8.)
Prima esecuzione: Milano, Teatro alla Scala, 9-10-12.4.2014 – Filarmonica della Scala, dir. Antonio Pappano. Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia, 2-3-4.04.2016, dir. Antonio Pappano.
Editore: SUVINI ZERBONI
Genere: Orchestra
Mentre mi arrovellavo sui primi abbozzi de L’Aurora, probabilmente, l’Italia festeggiava i 150 anni dell’Unità Nazionale, non senza l’immancabile polverìo di polemiche e schiamazzi.
Nel frattempo avevo iniziato a lavorare come assistente di Hans Werner Henze: un’esperienza umana e artistica che ha inciso profondamente nel mio modo di vivere e pensare la composizione. Con il Maestro si parlava spesso di politica, di utopie: le “locomotive della storia” che non si arrendono all’ordine delle cose, non si rassegnano al possibile. Chiamano in causa l’impossibile, il “Principio Speranza” che riscatta i marginali, che dà voce a generazioni di uomini senza nome e diritti. Discutendo di Cuba – dove aveva soggiornato dal 1969 al 1970 e composto la Sesta Sinfonia – Henze mi parlò di “rivoluzione fallita”, espressione coniata da Gramsci per il Risorgimento italiano. Pensai agli schiamazzi, alle diatribe, alle divisioni che risuonavano intorno alle celebrazioni dell’Unità nazionale; all’ambiguità statutaria, genetica cui sottostanno tutte le utopie, grandi motori di speranza e avanzamento sociale, stelle polari del riscatto per oppressi e marginali ma, al contempo, slanci votati alla disfatta e all’equivoco.
Un cuore di tenebra pulsa dentro il pensiero utopico: la disposizione a tramutarsi in culto cieco, in violenza. In Fede: quando l’ideale diventa Credo e si svende alla Volontà di Verità (che è sempre Unica ed è sempre appannaggio di qualche Eletto).
Sono i sospetti che da ragazzo trovai in Aurora (Morgenröhte) di Nietzsche: un’alba che illumina la notte dei feticci illusori, delle morali, delle convinzioni e delle fedi.
Demoliti gli Idoli, rimane il deserto: “il grande meriggio”, l’ora in cui “le ombre sono più corte”, “il caos che danza su piedi leggeri”. Una danza su cui grava il più terribile dei dubbi: e se fosse anch’essa frutto illusorio di una fede, abbaglio di una nuova utopia?
L’Aurora è sempre probabile e impossibile al contempo; speranza e fallimento, liberazione e violenza.
Nei sogni secolari di una vita migliore l’umanità immagina incessantemente l’alba di un tempo nuovo: ogni uomo, da sempre, si ritaglia un piccolo raggio di speranza.
È la luce fioca dell’Aurora. Probabilmente.
link
www.lastampa.it
Title: Danzario
Year: 2009
Organico: orchestra (2.2.2.2. – 2.2.0.0. – 2 Perc.[I: Tp., 2 Bg., Conga, Mr., Ps. – II: Cp., Glock., Tt., Gc., Trg., Wbl., 2 Bg., 2 Ps.] – A.)
Prima esecuzione: Auditorium Parco della Musica, 07-09-10.02.2009, Roma; 16.02.2009, Festival de musicade Canarias, Auditorium “Alfredo Kraus” di Las Palmas,14.02.2009, Auditorium di Tenerife, Orchestra Nazionale di SantaCecilia, Roma, dir. Antonio Pappano. Festival Sinopoli, Taorimina, 09.10.2009, Piacenza, 06.10.2009, Teatro municipale, Parma, 04.10.2009, Auditorium Paganini, Orchestra filarmonica Toscanini, dir Carlos Izcaray. Teatro Palladium, 27.01.2009, Orchestra RomaTre, dir. Pietro Mianiti. Auditorium Rai Torino, 12.02.2016, Orchestra Nazionale RAI di Torino, dir. Jonathan Webb. Parma, Auditorium Paganini, 20.09.2020, Orchestra filarmonica Toscanini, dir. Lorenzo Passerini.
Editore: RAITRADE
Genere: Orchestra
La musica di Danzario nasce da un interrogativo, che ai più potrebbe suonare come becera tetraggine, ma su di me ha sempre un certo effetto liberatorio: nel caso l’umanità fosse gentilmente avvertita di una fine imminente e certa (tamponamento da meteorite, indigestione planetaria etc.), gli umani continuerebbero indefessi a (co)stiparsi nelle metropolitane, ad abitare in inquietanti termitai fortunosamente innalzati per metri e metri, a pedalare come criceti dentro le ruote del lavoro? L’uomo si crede eterno: questo lo rende schiavo.
Danzario narra tale (faticoso) interrogativo: un lento inizio che si anima. Le illusioni cadono. Pian piano si fanno strada le danze. Per placarsi in un finale (ironicamente) misterico, in cui tutto sembra ritornare all’inizio.